(IN)VISIBILE FESTIVAL – UN ARTICOLO CHE RACCONTA LA REDAZIONE DEL BULLONE 

Da domani 20 ottobre 2023 apriranno le porte del primo Festival del Bullone

Si chiama (IN)VISIBILE FESTIVAL e sarà un’occasione per incontrarsi, parlarsi, ascoltarsi, connettersi e, perchè no, amarsi di più. Puoi scoprire che cos’è il Bullone su tutti i social e soprattutto puoi capire chi è il Bullone, chi ne compone l’anima, conoscendo i B.Liver e leggendo il nostro Giornale.

Proprio domani, venerdì, ci sarà (IN) REDAZIONE, ovvero apriremo la nostra riunione di redazione al pubblico del Festival, rendendola visibile in tutto il suo splendoreSe vuoi partecipare non ti resta che andare sul sito e prenotare il tuo posto!

Qui vorrei raccontarti di quella volta in cui abbiamo aperto la redazione al mondo con un articolo scritto da me. Durante tutta la riunione ero rimasta su un piano di ascolto aperto, osservandone i movimenti e vedendo comparire, come un disegno nell’aria, i processi e gli scambi che l’hanno caratterizzata. L’incontro alla base della nascita del giornale.

Ti regalo l’articolo di quel luglio di un anno fa, per assaporare in anteprima l’esperienza speciale di domani. Buona lettura!

Vorrei raccontare questa riunione come si raccontano le onde.

In questo numero apriamo le porte a voi lettori e vi portiamo in redazione. La riunione di redazione del Bullone è uno spazio libero, per davvero. Il giornale è alimentato dalle idee e dalle proposte di tutti. Spesso abbiamo ospiti, giornalisti ed altri professionisti che portano ricchezza con il proprio sguardo.

Cosa succede se metti la parola identità all’interno di questo spazio?

Questa parola di otto lettere e un accento arriva come un tuffo dentro al nostro oceano e inizia a muovere. Vi invito a navigare con me le ondate che ne sono nate, l’embrione di questo giornale.

Cos’è l’identità, quante ne abbiamo, in che modo si distingue dall’identificazione? Umana, digitale, di genere, professionale, nazionale, l’identità della fragilità. Quanti noi ci sono in me?

Parlano le immagini:

l’identità è un caleidoscopio, è come un puzzle, è in continua evoluzione; nascosta dalle maschere, è un punto fermo al centro, un filo conduttore. Ce n’è una alla base, ed altre si svelano soltanto con alcuni. Ci sono identità in conflitto, identità corporee, un io nella mia voce.

Affiora il tema dell’unicità e ci si interroga sulle contraddizioni:

siamo degli originali di noi stessi, perché dovremmo identificarci in qualcosa? L’identità di genere è un costrutto sociale, perché abbiamo bisogno di definirci? Perché altrimenti ci definiscono gli altri! Allora mi creo un genere nuovo, nascono moltissime categorie.. ci vorrebbe una categoria per ognuno di noi, ma così le categorie stesse perdono di senso.

Eppure l’identità mi orienta.. a spezzettare troppo la ricerca di chi sono rischio di perdermi.

Uno, nessuno, centomila:

ogni persona è diversa in base a chi la guarda e con chi si relaziona? Identità richiama appartenenza, chi sono io nel gruppo? La mia identità si scioglie? Si mescola, si espande, si perde o si arricchisce? È diffusione di responsabilità? È il sentirsi in comunione?

Diversità, come biodiversità: diverso non è il contrario di normale!

 

Il moto ondoso è intenso, si respira il grande bisogno di tutti di definirsi, di cercarsi. Ma anche di disidentificarsi, liberarsi, esprimersi ed essere.

Presto si fa incalzante il vortice dei significanti e dei significati: schwa, ‘di colore’, ‘diversamente abile’, ‘eterocuriosa’.. inciampiamo nelle parole scusandoci di non averne di migliori. Questo è un aspetto che trovo interessante, mi torna in mente Marianella Sclavi e l’imbarazzo come valore per l’incontro (curioso e aperto) con l’altro, sentinella di bias più o meno consci. Qualcuno ci ricorda che è l’intenzione a fare la differenza, e come usiamo le parole.

Per tutta la riunione ciò che ho sentito più forte è stato il grido delle domande, la ricerca di senso, la spinta etica, la passione. Il moto ondoso tra i bisogni di riconoscimento e di libertà, i cambi di direzione. Ciascun intervento ha un portato che parla di come l’esperienza ci ha toccati e di come la elaboriamo rispecchiandoci in ciò che accade agli altri.

Alla nostra mente piacciono le definizioni, piace spiegare, ci siamo evoluti così. È importante conoscerne i processi ed osservarli in modo da sviluppare una chiara visione. Qualcuno ha parlato dell’identità di sapiens, conoscerci in questo senso è una buona pratica per accompagnare il processo del vedersi e riconoscersi. Aggiungo: di vedere e riconoscere soprattutto la comune umanità.

Di grande importanza è riconoscere l’emozione che guida il discorso sull’identità. Ciascuno di noi, cercandosi ed incontrando la vita può essere stato ferito: “Io sono/la lettera/non ricevuta/il pane mancatomi/d’infanzia/il ritorno non/del padre/la biciclettina/rossa del sogno” (A. Pagnoni). Tra le ondate sono emerse paure, sofferenza ed orgoglio. Chiediamoci: la mia ricerca di identità mi isola, mi rende spigoloso, rigido? Può darsi che ci siano emozioni da conoscere più a fondo per cercarsi meglio.

In apertura, così come in chiusura, emerge il tema della fragilità: qualcosa da cui disidentificarsi, o meglio aprire: io non sono solo quello, sono molto di più di una diagnosi, di un comportamento, forse anche di quella parola che mi aiuta a placare la spinta pressante a definirmi. Nelle nostre onde ci sono più domande che risposte, credo che nel divenire costante del Mondo questo sia un buon approccio.

Concludo con la riflessione che questa esperienza ha stimolato, qualcosa da esplorare oltre: perché in un mondo che, in alcune felici sue fioriture, vuole andare nella direzione di riconoscerci l’unicità di cui siamo portatori sani, avvertiamo il bisogno di porre attenzione ai nomi e alle definizioni?

L’urgenza di definire non è per me la stessa cosa del trovare casa in un nome. Trovare casa mi aiuta a darmi il permesso di essere me, a sentire la mia pelle ed amarla, rivela agli altri il mio confine, ha la grammatica del rispetto. Trovare casa genera senso di appartenenza, mi sostiene, ma è utile sapersi accorgere di quando accende una rigidità che separa invece che unire.

 

Guardando l’oceano di noi da un faro attento e vigile, non vedo contraddizioni nelle moltitudini che abitano noi stessi, e nemmeno nelle opinioni che sembrano divergere. L’identità stessa del Bullone è fatta di tutti noi. Un’onda dopo l’altra siamo pur sempre oceano e c’è spazio per il vissuto di tuttə.

Dice il maestro Suzuki Roshi ‘quello che chiamiamo io è una porta girevole che si sposta ogni volta che inspiriamo ed espiriamo’.

Io, alla parola identità, preferisco la parola consapevolezza: consapevolezza aperta di quanto possiamo distinguerci, sempre restando umaniT